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La Liturgia: 
un ascolto che si fa preghiera

di Silvano Sirboni
(dalla rivista "La vita in Cristo e nella Chiesa")

Non “preparano” la Messa me ne fanno parte integrante le letture bibliche, i canti che le accompagnano, l’omelia, la professione di fede, la preghiera universale.

La Parola di Dio va proclamata in modo chiaro e dignitoso; il salmo, introdotto da una monizione, andrebbe cantato.

Non molto tempo fa un parroco, forse in un momento di “disperazione” di fronte ai ritardatari recidivi, chiedeva alla direzione di una nota rivista se gli fosse consentito di chiudere le porte della chiesa a Messa domenicale iniziata poiché molti, troppi fedeli entrano in chiesa in ritardo, anche durante la Liturgia della Parola. La saggia risposta di padre Rinaldo Falsini è stata negativa per ragioni ovvie e facilmente intuibili (cf Vita Pastorale 1/2000, p 8). Bisogna però ammettere che la tentazione di chiudere le porte resta grande, pur nella consapevolezza che non è certo con una soluzione drastica, autoritaria e disciplinare che si risolve il problema. D’altra parte per lungo tempo, fino al Vaticano II, non si è forse insegnato che la Messa è “valida” per il precetto domenicale purché si sia presenti dall’offertorio alla Comunione ignorando totalmente la Liturgia della Parola?

Non basta leggere: bisogna celebrare

Dopo il Vaticano II la situazione, almeno a livello di principi e di norme, è profondamente cambiata e non è del tutto inutile ribadire ancora una volta che “la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica sono così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto” (PNMR 8).

Se la semplice preoccupazione del precetto da una parte, e l’accentuazione unilaterale della Presenza reale dall’altra, hanno finito con il condurre ad una visione riduttiva e deviante della Messa, oggi, senza arrivare a chiudere le porte della chiesa, è necessario ed urgente restituire alla celebrazione dell’Eucaristia la sua originaria e integrale identità, perché si possa superare la vecchia mentalità di quanti si recano in chiesa per “prendere un pezzo di Messa”, con la stessa mentalità di chi va al supermercato.

Un compito non facile e che, senza dubbio, presuppone una corretta catechesi sulla Messa, ma che soprattutto richiede una corretta celebrazione a cominciare proprio da quella Liturgia della Parola che, in un passato neppur tanto lontano, era considerata una semplice preparazione alla Messa. Ancora oggi, a trent’anni dalla prima edizione del Messale Romano riformato dal Concilio, questa parte della Messa non viene considerata e sovente neppure celebrata come merita. Di conseguenza la Liturgia della Parola non entusiasma i fedeli, molti dei quali se ne dispensano anche molto volentieri.

Certo, esistono i ritardatari cronici, e non solo per la Messa, per i quali è veramente difficile trovare cure efficaci, a meno di un... miracolo! Prescindendo però da questi casi patologici, compito del prete responsabile e dei gruppi liturgici è quello di pensare ad una gestione della Liturgia della Parola tale che questa parte della Messa non solo riveli la sua importanza, ma doni anche il gusto, il piacere dell’ascolto e della preghiera.

La Parola di Dio raggiunge l’uomo rispettando le leggi dell’umana natura

Così il Messale Romano presenta la Liturgia della Parola nel suo complesso: “Le letture scelte dalla sacra Scrittura, con i canti che le accompagnano, costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria questa Parola divina con i canti e vi aderisce con la professione di fede; così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero” (PNMR 33).

Se questa è la Liturgia della Parola, come è possibile non tenerla in massima considerazione? Le premesse al Lezionario completano questo testo offrendo concrete indicazioni per una corretta e fruttuosa celebrazione della Liturgia della Parola. “Lo stesso modo con cui le letture vengono proclamate dai lettori - una proclamazione dignitosa, a voce alta e chiara - favorisce una buona trasmissione della Parola di Dio all’assemblea” (OLM 14).

Ecco una prima indicazione di cui purtroppo non si tiene sufficientemente conto nelle nostro assemblee. Influisce molto anche un errato modo d’intendere l’ex opere operato delle azioni sacramentali, quasi agissero in modo automatico. La salvezza di Dio ci raggiunge sempre come ci ha raggiunto un giorno in Gesù Cristo, cioè nel rispetto delle dinamiche umane. Di conseguenza, nella dinamica ordinaria della salvezza, l’azione di Dio è tanto più efficace quanto più gli strumenti sono umanamente pregnanti, veri, significativi...

Sia ben chiaro, non si tratta di estetismo, ma di verità. Talvolta una persona non vedente che legge a stento un testo in caratteri braille, comunica più di uno che legge formalmente molto bene. Tuttavia, al di fuori di questi casi eccezionali, dove la testimonianza conta più della materiale comprensione delle parole, la proclamazione della Parola di Dio non può essere improvvisata o affidata a chiunque. Indipendentemente dalla lettura più o meno comprensibile, è la mancanza di rispetto verso la Scrittura che costituisce una controtestimonianza e rappresenta un ostacolo all’incontro con Dio.

Per questa ragione le norme si preoccupano ripetutamente della formazione dei lettori. “Perché i fedeli maturino nel loro cuore , ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della sacra Scrittura, è necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno. Questa preparazione dev’essere soprattutto spirituale; ma è anche necessaria quella propriamente tecnica. La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione: quella biblica e quella liturgica...” (OLM 55).

L’amore per la Bibbia passa attraverso una corretta celebrazione della Parola

Il Concilio Vaticano II, nella consapevolezza che tanti aspetti negativi delle nostre comunità cristiane sono dovuti alla mancanza di formazione biblica, formulava questo desiderio: “Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggior abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia, di modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la parte migliore della sacra Scrittura” (SC 51).

Per questo il Lezionario domenicale e festivo ha ripristinato l’antica tradizione delle tre letture. Oggi, per la verità, molti trovano pesante questa struttura, specialmente nelle domeniche del tempo ordinario, quando la seconda lettura non ha alcuna concordanza tematica con il Vangelo e con la prima lettura. Non si può negare del tutto questo disagio, ma non possiamo neppure dimenticare che l’antica tradizione romana, come pure quella bizantina, aveva tre letture. Fra l’VIII e il IX secolo, soprattutto per l’ostacolo costituito dal latino che il popolo non comprendeva più, scomparve la lettura dell’Antico Testamento a favore delle lettere apostoliche. Tant’è che nella Messa preconciliare la prima lettura veniva identificata semplicemente con il termine “epistola”, cioè lettera. A testimonianza dell’esistenza delle tre letture era rimasto nel vecchio Messale il canto del responsorio graduale: un solo versetto superstite dell’antico salmo responsoriale, seguito immediatamente dall’alleluia.

Ora giustamente la riforma liturgica ha recuperato l’Antico Testamento che permette di collocare la lettura evangelica nel più ampio contesto della storia della salvezza, riportando di conseguenze le letture a tre. Oggi la preferenza va senza dubbio alla prima lettura, perché costituisce sempre in qualche modo un annuncio profetico della pagina evangelica proclamata nella medesima celebrazione. Ma se non si leggessero le lettere apostoliche quando mai la grande maggioranza del popolo di Dio avrebbe la possibilità di conoscerle?

Se sovente la Liturgia della Parola diventa “pesante” non sarà forse soprattutto colpa di una “gestione” poco celebrativa, poco orante di questa parte della Messa? Non sarà forse colpa anche di certe omelie che non rendono un buon servizio alla Parola di Dio sia per il contenuto sia per la forma e la lunghezza?

Il salmo responsoriale è una preghiera in canto

Proprio per restituire alla Liturgia della Parola quell’atteggiamento di ascolto che si fa preghiera è stato ripristinato il salmo responsoriale “che è parte integrante della Liturgia della Parola. Il salmo, d’ordinario, è preso dal Lezionario, perché ogni testo salmodico è direttamente connesso con la relativa lettura; pertanto la scelta del salmo dipende dalle letture...”.

In altri termini il salmo è l’ascolto che si trasforma in preghiera. Molti non si rendono ancora conto di questo stretto legame del salmo con la lettura appena ascoltata. Per questo le norme danno questo suggerimento: “Potranno recare un certo aiuto brevi monizioni che illustrino la scelta del salmo e del ritornello e la loro concordanza tematica con le letture” (OLM 19). Una monizione preziosa che purtroppo pochi fanno e che servirebbe anche per creare un opportuno spazio fra la lettura e il salmo, che è un genere letterario totalmente diverso.

Non a caso la norma, troppo sovente disattesa, prevede, senza eccezione, il salmista come ministro diverso dal lettore. “E’ compito del salmista, o cantore del salmo, cantare in modo responsoriale o diretto il salmo o altro cantico biblico, l’alleluia, o altro eventuale canto fra le letture” (OLM 56). Purtroppo sovente la stessa persona proclama (ma a volte legge soltanto!) la lettura e, quasi senza prendere fiato, passa al salmo responsoriale come se fosse un’ulteriore lettura!

Non è sempre possibile per ovvie ragioni, ma di norma il salmo, come dice il termine stesso (dal greco psalmòs = canto) è una preghiera in canto: “Il salmo responsoriale di norma si eseguisca in canto. Ci sono due modi di cantare il salmo dopo la prima lettura: il modo responsoriale e il modo diretto. Il modo responsoriale che è quello, sempre che sia possibile, da preferirsi, allorché il salmista o il cantore del salmo ne pronunzia i versetti, e tutta l’assemblea partecipa con il ritornello. Il modo diretto allorché il solo salmista o il solo cantore canta il salmo e l’assemblea si limita ad ascoltare, senza intervenire con il ritornello; o anche allorché il salmo viene cantato da tutti insieme” (OLM 20).

Mi pare che ce ne sia a sufficienza per fare una “purificazione della memoria”, una verifica per quanto riguarda le modalità con le quali celebriamo la Liturgia della Parola durante l’Eucaristia.